Comune di Conco (VI)

Le malghe comunali

MALGHE DI PROPRIETA’ DEL COMUNE DI CONCO
 

 
Malga Biancoia
 
Malga Montagnanova Davanti
 
Malga Montagnanova di Dietro
 
Malga Verde
 
 
 

 
CENNI SULLA GESTIONE DELLE MALGHE
 
Introduzione
La malga è un’azienda agricola ad indirizzo zootecnico, temporanea, in quanto attiva per un periodo limitato nel corso dell’anno, da 90 a 120 giorni circa. E’ costituita da un pascolo, più o meno esteso e da infrastrutture di servizio: la casara, la stalla, la porcilaia, le pozze, la recinzione, da una mandria di animali, dal malghese che quasi sempre è casaro, e dai vaccari. Chi frequenta d’estate le malghe e in genere il comune cittadino, spesso non conosce gli aspetti tecnici, economici ed organizzativi che guidano e regolano l’attività di alpeggio.
 
Cenni storici
L’attività d’alpeggio su queste zone è testimoniata in forma scritta da un atto di assegnazione di terre da destinare al pascolo datato 983 dopo Cristo; da almeno 10 secoli quindi le praterie sono utilizzate con continuità dai nostri allevatori come risorse foraggere per le loro greggi e mandrie, dimensionando il numero dei capi allevati in funzione del pascolo estivo in quota. Già nel 1300 le praterie naturali di altitudine non furono più sufficienti a sfamare il numero sempre più elevato degli animali e iniziò così su larga scala il disboscamento per ricavare nuove superfici da destinare al pascolo. Ciò provocò dissesti idrogeologici nelle aree a forte pendenza tanto che le autorità statali (il Consiglio dei Dieci della Repubblica Veneta) emisero norme a salvaguardia della foresta.
I primi anni del 1800 portarono notevoli cambiamenti politici con la diretta conseguenza di un nuovo modo di allevare bestiame; l’allevamento degli animali che fino ad allora era di tipo transumante divenne stanziale, diminuì fortemente il numero di pecore e di capre e aumentarono i bovini. La causa principale fu l’abolizione del privilegio di pascolo libero sui suoli della pianura veneta, riservato agli allevatori dell’Altopiano dall’autunno alla primavera inoltrata: il così chiamato “diritto di pensionatico”.
In questo modo si diffuse sempre più l’allevamento stanziale del bovino da latte che, durante il periodo estivo, dalle aziende di montagna e di pianura veniva trasferito sui pascoli d’alta quota al fine di utilizzare le risorse foraggere e di facilitare il lavoro di fienagione.
Insomma l’attività d’alpeggio, come molte altre attività dell’uomo, è parte del tempo storico e non fuori di esso: ha avuto un passato, ha un presente e presumibilmente anche un futuro.
 
L’ambiente e il territorio
Il territorio dell’Altopiano comprende 87 malghe di proprietà collettiva; 77 sono delle otto amministrazioni appartenenti all’Unione Montana “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni”; altre 10 sono dei Comuni di Caltrano, Lugo di Vicenza e Calvene, dell’Unione Montana “Dall’Astico al Brenta”.
La superficie totale dei pascoli delle malghe è di 7.775 ettari.
Il territorio è ben delimitato a nord e ad est dalla Valsugana, ad ovest dalla Valdastico e infine a sud dalla pianura dell’Alto Vicentino; l’intervallo altimetrico su cui si sviluppano le malghe va dai pascoli posti a 700 metri di malga Tena del Comune di Lugo di Vicenza, ai 2.300 metri di malga Portule Pastorile.
Le rocce che costituiscono il substrato del suolo sono una pila di strati carbonatici di oltre 2.000 metri che derivano da sedimenti marini tra il Triassico e l’Eocene, in sequenza: la Dolomia Principale, i Calcari Grigi, il Rosso Ammonitico, il Biancone e, infine, la Scaglia Rossa.
Tutti questi strati, esclusa la Dolomia Principale, sono facilmente erodibili e degradabili dagli agenti atmosferici: è molto diffuso quindi il fenomeno del carsismo che condiziona notevolmente l’attività d’alpeggio.
http://www.baldoinrete.eu/wp-content/uploads/2015/01/fasce-bio.pngI suoli sono di tipo “suoli bruni calcarei, suoli bruni lisciviati e rendzina” e ciò a seconda della matrice rocciosa e della pendenza della superficie.
Il clima è caratterizzato dalla particolare situazione geografica, a confine fra la pianura veneta e i primi rilievi montuosi delle Alpi.
Le precipitazioni sono elevate, con una media annuale di circa 1500 mm, dall’andamento di tipo equinoziale: giugno e ottobre sono i mesi più piovosi; durante il periodo vegetativo da aprile a settembre la piovosità media è di circa 800 mm.
Il paesaggio vegetale è frutto, come in tutte le nostre Alpi, di complesse attività geomorfologiche, climatiche e biologiche nelle quali l’uomo con le sue attività ha un ruolo di non poca importanza.
Nel territorio in questione si va dalla fascia fitoclimatica del Castanetum tipica di alcune malghe dell’Unione Montana “Dall’Astico al Brenta”, al Fagetum dei pascoli di Conco, Lusiana e della “zona bassa” di Asiago, al Picetum dove è localizzato il maggior numero di alpeggi, infine all’Alpinetum tipico delle praterie naturali di alta quota.
Attualmente circa il 50% della superficie della zona interessata è ricoperta da boschi (alto fusto 65%, ceduo 35%), il 16% da pascoli, il 23% da prati-pascoli e 1’11% è occupato da aree urbanizzate e improduttive, come le rocce in alta quota.
La quasi totalità delle superfici a bosco e a pascolo sono di proprietà collettiva e sono amministrate dai Comuni con un apposito “Regolamento per la disciplina degli Usi Civici” e dalle norme stabilite dal “Piano decennale tecnico-economico dei beni silvo-pastorali”.
 
Approfondimenti sul pascolo
Con il termine pascolo si intende una superficie ricoperta di vegetazione erbacea, in cui l’alimento viene direttamente utilizzato dal bestiame.
I pascoli sono un’antichissima risorsa che oggi sta riacquistando importanza per una serie di motivi che vanno dalla tutela del territorio, alla conservazione della biodiversità, dal mantenimento della variabilità paesaggistica, al miglioramento della qualità delle produzioni del comparto zootecnico.
Si distinguono pascoli di origine primaria e pascoli di origine secondaria: questi ultimi sono stati ottenuti mediante disboscamento, mentre i primi si trovano ad alta quota laddove le condizioni ambientali non permettono l’affermazione della vegetazione arborea, e cioè oltre il cosiddetto “limite del bosco”.
Il pascolo, quindi, è influenzato dalle condizioni ambientali, ma più di altre formazioni naturali o paranaturali è influenzato anche dall’attività dell’uomo e dalla gestione cui è soggetto; esso è quindi la risultante di un interazione fra fattori ambientali ed antropici.
I fattori ambientali (caratteristiche del clima e del suolo) determinano lo sviluppo di comunità vegetali con combinazioni floristiche tipiche ed in equilibrio con l’ambiente, che la fitosociologia indica con il nome di associazioni.
Esistono associazioni più o meno ricche per quanto riguarda il numero di specie: si va dalle 8-10 specie delle vegetazioni nitrofile in prossimità delle stalle alle 60-70 di alcuni pascoli.
Le specie sono raggruppate in Famiglie e le più importanti per i pascoli sono le Graminaceae (o Poaceae), le Leguminosae (o Fabaceae), le Umbrellifere (o Apiaceae), le Compositae (o Asteraceae), le Cyperaceae e le Rosaceae.
Per quanto riguarda i pascoli del territorio delle due unioni montane, abbiamo i Brometi, diffusi sui versanti di bassa quota esposti a sud e su terreno calcareo. Si tratta di un gruppo in cui rientrano numerose associazioni di ambienti più (xerobrometi) o meno secchi (mesobrometi), tutte comunque caratterizzate dalla presenza del Bromus erectus.
Nelle malghe della zona centrale dell’Altopiano troviamo dei pascoli molto produttivi, e cioè i Lolio-Cynosureti ed i Festuco-Cynosureti, che si sviluppano in zone ben concimate e ad elevata piovosità, in cui troviamo, per quanto riguarda le Graminaceae, il Lolium perenne, la Festuca rubra, il Cynosurus cristatus, l’Agrostis tenuis e la Poa alpina; tra le Leguminose il Trifolium repens (trifoglio bianco) ed il Trifolium pratense (trifoglio violetto); inoltre è molto abbondante il Taraxacum officinale. A quote maggiori abbiamo i Nardeti, caratterizzati dall’abbondante presenza del Nardus stricta, una graminacea non appetita dal bestiame che forma estesi tappeti. Si tratta di pascoli caratterizzati dalla presenza di poche specie, come la Campanula barbata, l’Arnica montana, il Vaccinium myrtillus (mirtillo nero) e talvolta il rododendro.
Sui ripidi pendii calcarei troviamo i Seslerio Sempervireti (pascoli a Sesleria varia e Carex sempervirens) in cui spiccano la Gentiana kochiana, la Dryas octopetala ed in alcuni casi anche la Stella alpina (Leontopodium alpinum).
 
La vita in malga
“Dai Moro, là, là, para su”; una sagoma nera, il cane del malghese, corre a comando a radunare le vacche che devono essere munte dopo aver passato la notte a pascolare e a riposarsi; verso oriente incomincia ad albeggiare. Inizia così la giornata, ogni giornata, in malga.
Dopo aver radunato il bestiame, i vaccari conducono le vacche alla stalla dove inizia la mungitura, operazione che terrà impegnate più persone per un paio d’ore. Finita la mungitura, un po’ prima o poco dopo le otto del mattino, il latte viene depositato in una vasca refrigerata in attesa dell’autobotte del caseificio oppure viene messo nella caldaia per la trasformazione in formaggio; segue subito la pulizia dell’impianto di mungitura e della stalla e una veloce colazione, che, ora come un tempo, è a base di polenta abbrustolita con un po’ di formaggio o salame.
I pastori devono poi pensare all’alimentazione dei maiali, racchiusi nella porcilaia. Si aggiungono crusca, tritello, farina d’orzo o di mais al siero residuo della lavorazione del latte.
Le vacche, dopo munte, si indirizzano e accompagnano al pascolo. Il resto della mattinata viene impiegato a falciare le specie infestanti o a fare qualche altro lavoro di manutenzione, come il ripristino della recinzione, la pulizia di una pozza, uno spietramento; nel frattempo il casaro inizia la lavorazione del latte e la sua trasformazione in formaggio e burro, che lo impegna fino all’ora di pranzo. Un pasto frugale: una pastasciutta o una zuppa, un po’ di carne e verdure e un breve e meritato riposo.
Dopo un caffè si riprendono i lavori, il casaro cura il formaggio in magazzino e in salatoio, prepara la legna da ardere per riscaldare il latte e la cucina; i vaccari escono a lavorare sul pascolo e poi, verso le diciassette, con l’aiuto dei cani conducono verso la stalla le vacche per la mungitura del pomeriggio proseguendo le solite incombenze fino a dopo le venti.
Segue la cena a base di latte, polenta, formaggio o salame, un bicchiere di vino, quattro chiacchiere sul tempo, le vacche e i ricordi e poi a dormire perché prima delle cinque suonerà la sveglia.
 
La trasformazione del latte
Il prodotto tipico che caratterizza l’attività di alpeggio nelle nostre montagne è il formaggio Asiago d’Allevo che a seconda dell’età di maturazione si chiama Mezzano (4-8 mesi), Vecchio (8-12 mesi), Stravecchio (oltre i 12 fino a 24-36 mesi).
La tecnica di produzione è la seguente. Il latte della mungitura del pomeriggio viene posto in apposita bacinella tonda di scarsa profondità e riposta in luogo ventilato e fresco, di solito in una stanza rivolta a nord. Qui il latte rimane dalle 6 alle 12 ore in relazione alla stagione, alla temperatura dell’ambiente e alla qualità stessa del latte. Sono la responsabilità e l’esperienza del casaro che regolano tale scelta. Il latte a questo punto viene scremato con la spannarola, e assieme a quello munto al mattino viene posto in caldaia o caldiera e riscaldato a temperatura variabile, a seconda della stagione e della qualità, intorno a 35-36 gradi centigradi.
Il latte viene continuamente mescolato con la batarela o rodela e, a temperatura raggiunta, si aggiunge il caglio.
La coagulazione della caseina avviene in circa 20-30 minuti; la cagliata così ottenuta viene rotta con lo spino o la lira, riducendo il coagulo a grumi della grossezza di un chicco di frumento. La cottura avviene ad una temperatura finale attorno ai 45-46 gradi centigradi; la cagliata, dopo il riposo nel siero e il suo deposito sul fondo della caldiera viene estratta e posta in fascere di legno di abete.
Le forme vengono lasciate sullo scagno e coperte con un telo di crine di cavallo a spurgare il siero per tutta la giornata, poi vengono portate nella stanza del salatoio dove rimangono una settimana sullo scagno, cosparse di sale grosso e rigirate due volte al giorno. In questo periodo il formaggio spurga il siero, assorbe il sale e forma la crosta; dopo questo trattamento viene portato nel magazzino. In questo luogo, a temperatura costante ed oscurato, le forme vengono poste su assi di abete e girate sotto-sopra tutti i giorni.
Dopo un mese viene fatta la prima pulitura e raschiatura, un po’ più tardi seguirà l’oliatura con olio di lino crudo. Il formaggio d’Allevo sarà pronto dopo sei mesi ma il massimo dei sapori e dei profumi lo raggiunge dopo un anno o più.
In alcune malghe, soprattutto nei primi giorni di alpeggio, quando le vacche devono abituarsi alla nuova alimentazione al pascolo e perciò il latte è meno “fermo”; si produce l’Asiago Fresco o Pressato. Si utilizzano il latte intero e perciò non scremato e temperature di cottura della cagliata inferiori. Le forme appena fuori dalla caldiera vengono pressate sotto torchio per spurgare il siero; la maturazione si effettua in 20-40 giorni. E’ un formaggio dolce che sapora ancora di latte.
Per un completo sfruttamento del siero, in alcune malghe si produce la ricotta, che è ottenuta dalla coagulazione, per effetto del calore e dell’acidità, delle albumine che rimangono nel siero dopo la lavorazione del formaggio. Con questo procedimento si ottiene un formaggio a pasta molle, da consumarsi in fretta, che diventa ottimo quando viene affumicato con la legna del pino mugo per poi essere utilizzato per insaporire piatti di pasta.
Il saporito burro di malga si ottiene invece con la crema del latte che si raccoglie con la spannarola dal latte posto nelle bacinelle e messa nella zangola dove viene energicamente agitata fino a che si separa la materia grassa dal latticello. Il burro viene lavato con acqua fresca in modo da asportare il più possibile il latticello, quindi compresso e messo in forme rettangolari da mezzo o un chilogrammo. La colorazione gialla è data dalla presenza dei caroteni che si trovano nei fiori e nell’erba.


La gestione delle malghe: evoluzioni e tendenze
Le amministrazioni comunali delegate alla gestione del patrimonio collettivo promuovono, ogni sei anni, le gare per la concessione in uso temporaneo delle malghe, normalmente dai primi di giugno a fine settembre.
Le malghe non vengono affittate, ma concesse per un periodo definito con un contratto particolare, l’art. 45 L. 203/1982, che regola l’affittanza dei fondi agrari.
Ogni allevatore interessato deve far pervenire in busta chiusa e previo versamento di una cauzione la sua offerta espressa in litri di latte per U.B.A. (Unità Bovina Adulta) alpeggiate nella malga. Il numero di U.B.A per ogni malga è fissato dal “Piano decennale tecnico-economico dei beni silvo-Pastorali” ed è normalmente chiamato carico.
Il carico di bestiame da attribuire ad ogni malga è sicuramente la scelta più importante per una corretta gestione dell’alpeggio; chi fa il buon pascolo è la bocca degli animali, l’uomo può intervenire con mezzi diversi (meccanici, chimici) ma con risultati temporanei e di alto costo energetico ed ambientale.
Ogni malga quindi si porta dietro il suo carico che è nato dall’esperienza di tanti anni di alpeggio. Questo dato, in questi ultimi anni è messo in discussione a causa soprattutto dell’uso di concentrati (mangimi) nell’alimentazione della vacca in lattazione e dalle caratteristiche di alcune razze bovine selezionate a grandi produzioni di latte.
Il calcolo del carico, in teoria è funzione di un semplice bilancio fra quanto produce il pascolo e quanto consumano gli animali secondo questa semplice formula:
 
C = ( P x CS ) / ( F x D )
 
C: Carico
P: Produzione foraggera complessiva della malga
CS: Coefficiente di sfruttamento o indice di utilizzazione
F: Fabbisogno nutritivo pro dì
D: Durata della monticazione in giorni

 
Come si può intuire i due termini al denominatore sono relativamente facili da definire con precisione mentre i due termini al numeratore e cioè la produzione e il coefficiente di sfruttamento del pascolo sono legati a numerose variabili, come l’andamento climatico stagionale, la capacità da parte del bestiame di utilizzare l’erba secondo la sua maturazione, il tipo di bestiame, l’organizzazione sociale della mandria, l’uso dei concentrati nell’alimentazione e dall’esperienza dei malghesi.
Il canone sarà poi così conteggiato:
 
(carico) x (litri di latte offerto) x (prezzo medio regionale del latte)
 
Questo modo di calcolare il canone che a prima vista sembra un retaggio di periodi antichi, è invece perfettamente al passo con i tempi in quanto tiene conto di due variabili: il numero dei capi e il prezzo di mercato del latte.
Le offerte attuali variano dai circa 600 litri di malga Mosche Ovest nel Comune di Asiago ai 70 di malga Melette Davanti nel Comune di Gallio, in funzione della qualità dei servizi offerti dalla malga: lo stato dei fabbricati, la facilità di accesso, la produttività e qualità del pascolo, l’abbondanza e qualità dell’acqua, la presenza o meno della forza motrice elettrica, ecc.
Questo territorio è una delle isole fortunate delle nostre Alpi dove l’alpeggio non è in crisi, infatti tutte le malghe sono alpeggiate e la domanda è maggiore dell’offerta. Questa favorevole situazione dipende da un insieme di fattori che brevemente possono essere così elencati:
I nostri pascoli montani, di proprietà collettiva o comunale vengono gestiti attraverso un disciplinare tecnico-economico previsto dalla Legge Regionale n. 52 del 13 settembre del  1978 “Legge forestale regionale” agli artt. 24 e 25. Tale normativa prevede anche contributi in conto capitale fino alla misura massima del 75% per opere di infrastrutture al servizio dei pascoli stessi. Il rimanente viene coperto dal Comune.
A questi finanziamenti va aggiunto il 10% del canone di concessione annuale trattenuto per legge, che verrà impiegato l’anno successivo per piccoli interventi straordinari ad inizio stagione.
Grazie a questi finanzia menti è stato possibile un continuo miglioramento generale delle condizioni strutturali degli alpeggi. Infatti negli anni ‘80 la condizione standard nelle nostre malghe era la seguente: pascolo recintato con 3-5 pozze; stalla di tipo chiuso con vacche legate alla catena rivolte al muro, disposte su due file, uno o più spesso due corpi di casara con i locali di lavorazione del latte e quelli abitativi comuni privi d’impianti igienico-sanitari, elettrici, di potabilizzazione dell’acqua (accumulata in cisterne con prese dal tetto dei fabbricati), con intonaci e tinteggiature degradati.
Gli interventi di ripristino sono stati rivolti prioritariamente verso quelle malghe dove si trasformava il latte in burro e formaggio.
Dal 1980 al 1986 i lavori sono stati in linea di massima i seguenti: dotazione dei servizi igienico-sanitari, concimaie, potenziamento delle riserve d’acqua con la costruzione di nuove vasche di accumulo e dove possibile, allacciamenti alla rete idrica, allacciamenti alla rete elettrica, fornitura di gruppi elettrogeni, impianti interni di distribuzione elettrica e di acqua.
Alla fine degli anni ‘80 e nei primi anni ‘90 i lavori hanno interessato la ristrutturazione interna dei fabbricati con la separazione dei locali di lavorazione del latte da quelli abitativi, in attuazione di precise norme sanitarie. Sono stati realizzati anche piastrellature, impianti, intonaci, nuovi infissi.
Più tardi sono stati eseguiti i lavori di trasformazione delle stalle con la creazione alloro interno di sale di mungitura da 6 a 8 posti.
In tutte le malghe che lavorano il latte sono stati installati sistemi di filtrazione dell’acqua e i debatterizzatori a raggi ultravioletti per la potabilizzazione della stessa.
In questi ultimi anni invece gli interventi hanno riguardato la creazione della sala deposito latte separata dalle altre infrastrutture, le sostituzioni di alcuni manti di copertura dei tetti in eternit e ancora adeguamenti igienico-sanitari.
I lavori di miglioramento dei pascoli sono stati quelli per il contenimento dell’avanzata del bosco, decespugliamenti (malghe a bassa quota: rosa canina, ginepro comune, crespino, nocciolo; in  alta quota: ginepro nano, pino mugo), spietramenti, concimazioni chimiche e organiche, diserbi selettivi, rinnovi totali, semine e trasemine.
Tutte queste pratiche agronomiche furono eseguite soprattutto nei primi anni ‘80, poi recentemente indirizzate soltanto a casi particolari sia per gli scarsi benefici durevoli che per gli alti costi.
Momento molto importante è inoltre l’atto di consegna o riconsegna annuale della malga da parte del Comune al conduttore in presenza dell’organo di controllo che è l’Unione Montana.
Di norma avviene poco prima del carico o immediatamente dopo; in quell’occasione si fa congiuntamente un sopralluogo ai pascoli, si verificano la messa in opera della recinzione e l’efficienza delle pozze, si controllano lo stato dei fabbricati, delle cisterne di accumulo dell’acqua e la qualità delle tinteggiature e della pulizia dei locali.
A fine alpeggio si eseguono le operazioni di riconsegna con le medesime modalità. Nel caso però che si siano verificati danni alle cose o che certi lavori assegnati non siano stati attuati,
l’amministrazione comunale monetizzerà le inadempienze e farà eseguire i lavori o riparare i danni a carico del malghese.
In conclusione, l’esperienza insegna con certezza che per avere un bel pascolo servono soprattutto la presenza di un corretto carico di bestiame, un periodo di utilizzo del pascolo in funzione dell’andamento stagionale e la continuità nel tempo da parte del malghese di pratiche molto semplici ma indispensabili, quali il taglio delle specie infestanti prima della fioritura, l’utilizzo totale del pascolo a seconda della maturazione delle piante foraggere, il portare al pascolo le bestie in modo indirizzato e non libero, la distribuzione corretta delle deiezioni a fine alpeggio: solo così sarà possibile continuare a parlare e, perché no, a vantarsi delle malghe.
 
Alcune curiosità sulle nostre malghe
Su 87 alpeggi circa la metà dei malghesi è del luogo, l’altra metà proviene dalle province di Padova e Vicenza.
Gli addetti con diversi ruoli (malghesi, casari, vaccari) sono circa 350. Su 87 malghe, 80 sono caricate a bovini e 7 a ovini, 71 con vacche da latte e 9 con bestiame asciutto per un totale di circa 8.500 bovini e circa 5.000 ovini.
Le razze sono in percentuale: 57% Bruna, 20% Frisona, 16% Rendena, 3% Pezzata Rossa, 4% Limousine.
Delle 80 malghe caricate a vacche da latte,31 lo trasformano in malga producendo l’Asiago d’Allevo, mentre le altre consegnano il latte ai caseifici della zona.
Le forme di Asiago prodotte nelle nostre malghe sono circa venticinquemila.
Le malghe che lavorano il latte sono autorizzate dai sindaci a vendere i prodotti (burro, formaggio, ricotta), una decina è autorizzata a fornire pasti completi in quanto iscritte all’elenco provinciale aziende agrituristiche.
Tra le 7 malghe caricate a ovini, 4 hanno ovini da latte (2 di razza sarda e 2 di razza massese), 3 razza da carne (la nostra vecchia razza Foza è stata incrociata prima con la Lamon poi con la Bergamasca ed infine con la Biellese per ottenere agnelli più pesanti).

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I testi sono stati tratti da “La Via delle Malghe”: un progetto coordinato per la segnaletica e gli strumenti informativi e promozionali del territorio dell’Altopiano di Asiago Sette Comuni-dall’Astico al brenta. Progetto cofinanziato dalle Comunità Montane “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni” e “Dall’Astico al Brenta” e dall’Unione Europea Fondo Strutturale FEOGA Programma Leader II – Azione 4.